Sembra ieri. Avevamo quindici anni e scalpitavamo dalla voglia di
scendere in campo, per tutti noi era la partita d’esordio. Il nostro
mentore Giancarlo (Sociali) ci tenne nascosto fino all’ultimo il nome
degli avversari, fu solo quando calcammo il terreno di gioco che ci
trovammo di fronte i nostri coetanei dell’Aquila Rugby, all’epoca niente
po’ po’ di meno che i campioni d’Italia di categoria.
Fu un’autentica disfatta, uscimmo talmente malconci – sia nel fisico
che nel risultato – che per molti di quei ragazzi della classe ’74 la
delusione fu così cocente che quella rimase la loro prima ed unica
partita.
L’intento di Giancarlo però era stato raggiunto, perché i pochi
eletti temprati nel corpo e nello spirito da quello spiacevole episodio
fecero della palla dallo strano rimbalzo una delle ragioni di vita; si
trattava della generazione d’oro del rugby celanese, dei vari “Pizzell”,
“Sglù”, “Crustin”, “Fernandin”, “Gabbriel”, Giorgio (Pestilli) e,
ovviamente, tu ed io.
Di quei quindicenni, trascorsi quasi trent’anni, in campo c’eravamo
rimasti solo io e te, sprezzanti del tempo che inesorabilmente era
passato, per la nostra ultima partita ufficiale a Capistrello: senza
neanche accorgercene, era giunta anche per noi l’età in cui ogni
rugbista è sottoposto a pensionamento obbligatorio. Anche in
quest’ultima circostanza, come era accaduto ben 27 anni prima, la
vittoria non ci arrise, stavolta a causa di un probabile arbitraggio
approssimativo che proprio avevi mal digerito tanto che a fine match a
stento si riusciva a trattenerti dal richiedere concitate spiegazioni a
quel direttore di gara poco attento.
E nel mezzo tutta una vita… i campionati giovanili… la fondazione del
nuovo Celano Rugby… le risate ai tornei di beach… la striscia vincente,
con tanto di titoloni sui giornali locali, cui seguì inspiegabilmente
la chiusura della squadra… l’approdo all’Avezzano Rugby… la vittoria a
mani basse nel campionato di C1… le stoiche partite in serie B… la sfida
vittoriosa alla nazionale maltese nelle fila della rappresentativa
regionale al mitico Stadio “Fattori”… il seguente torneo internazionale
vinto in quel di Malta… e poi la trasferta a Jesi, quella zolla
assassina e le ossa della mia gamba che si frantumano come fossero
d’argilla: chi altri se non tu, fresco di specializzazione, svestiti
immediatamente i panni di giocatore ed indossati quelli di medico,
poteva prestarmi i primi soccorsi?
A quel gravissimo infortunio seguì il passaggio nello staff tecnico,
tu come medico sociale ed io come preparatore fisico, entrambi a
sospingere col pensiero il nostro compaesano Gabriele (Marcanio) che
all’ultimo secondo dei play off della stagione 2005/2006 schiacciava
oltre la linea di meta quel pallone che avrebbe rappresentato un sogno
chiamato serie A.
Ispirati da quel trionfo, decidemmo che forse ancora non era arrivato
il momento di appendere gli scarpini chiodati e quindi, calzatili di
nuovo, tornammo ad indossare le nostre maglie di sempre con la squadra
cadetta, io la 8 e tu la 9, sempre fianco a fianco, sempre lì a fare da
raccordo tra mischia e tre quarti, pronti a supportare il nostro coach
storico Vittorio (Santucci) nella crescita di tanti giovani promettenti…
e con noi l’inseparabile Giorgio (Pestilli) ed altre vecchie glorie del
rugby avezzanese, una su tutte il “puma” Pasquale De Ciantis campione
d’Italia con L’Aquila Rugby nella stagione 1993/94 ai danni della
corazzata Milan dei gemelli Cuttitta, Vaccari, Dominguez… autentiche
leggende di questo sport.
Questo binomio generazionale si rivelò vincente tanto che arrivammo
veramente a un soffio dagli spareggi per la serie B, la stessa in cui
ahimè era subito retrocessa la prima squadra.
Come si può dimenticare quel rimedio naturale che sembrava la panacea
di tutti i mali? Lo consigliavi a tal punto che ormai era diventato un
tormentone:
“I MITTECE I GHIACCE!”
Tanto rugby, ma non solo… eravamo così simili caratterialmente che a
me veniva naturale rispettare le tue rigorose prescrizioni quando dovevo
passare in studio da te, a differenza d’altri, ed ogni volta non facevi
che rimarcarlo con stupore:
“MA SE CE RRISCE TU PERCHÉ J’ATRE N’N CE RRISCENE?”
Le passioni che condividevamo non si contano: bici, corsa, montagna e
non ultimo quel dannato bilanciere olimpico sbattuto e risbattuto fino a
fare i buchi per terra.
Quando fu organizzata la prima edizione della Extreme Warrior Run (exwrun)
non feci in tempo a chiederti se ti andasse di partecipare che già
avevi il pettorale stampato sulla pelle: terzo assoluto, rischiando di
vincere una competizione fatta su misura per podisti tu che in realtà
non lo eri… con un paio di ostacoli duri in più ne avresti fatta
mangiare di polvere ai primi due!
Come non parlare della tua splendida famiglia, del bene che volevi a
tua moglie Antonella e dell’educazione esemplare dei tuoi figli? Quando
raccontavi di Domenico ti brillavano gli occhi per quanto ti rendesse
orgoglioso il fatto che stesse ripercorrendo le tue orme, non perdevi
occasione per ribadire quanto ti somigliasse per grinta e addirittura ti
superasse per abilità.
Come non ricordare tutte le tue energie profuse nella lotta al nemico
invisibile chiamato Covid? Rimarrà il tuo costante impegno nel
divulgare quella cultura vaccinale, fondata su basi scientifiche solide e
riconosciute, troppo spesso messa in discussione da alcuni miseri
complottisti dal basso della loro sconfinata vigliaccheria, totale
inettitudine e gretta moralità.
Ultimo, ma non in termini di importanza, l’impegno con la Old Avezzano Rugby.
Tanto hai detto e tanto hai fatto che sei riuscito a convogliare in
questa nuova avventura molti di noi che si erano allontanati, a partire
da me, passando per i tuoi “pupilli” Pasquale (Evangelista) e Nazareno
(Tiberi), per finire con Diego (Pestilli), nostro amico di tante
battaglie che hai trascinato al campo intitolato all’indimenticabile
presidente Trombetta letteralmente strappandolo al piatto di pasta che
aveva davanti.
E chissà quanti altri ancora ne avresti coinvolti se solo questo atroce destino non ti avesse remato contro…
Anche lo scorso ultimo sabato di maggio non potevamo che ritrovarci
su un manto erboso a praticare il nostro sport da bestie giocato da
gentiluomini, disposti a tutto pur di conquistare terreno, evocando
scontri antichi in cui la posta in palio era ben più importante di una
palla ovale.
Come accade spesso, entrambi siamo usciti acciaccati ma fieri di aver
versato fino all’ultima goccia di sudore e durante la settimana ci
siamo sentiti per aggiornarci sul nostro stato di salute, fiduciosi in
un completo recupero per il prossimo torneo che si sarebbe tenuto alla
fine del mese: dopo esserti automedicato quel mignolo fratturato già
avevi ripreso ad allenarti perché tanto “I DITIJJE N’N SERVE”…
E poi questa maledetta domenica… sono già pronto ad uscire di casa
per andare a tifare la prima squadra nell’ultima di campionato quando
arriva la notizia che mai nessuno avrebbe immaginato:
“MA CHI, CHECCO? NO, NON È POSSIBILE!”
E invece è accaduto l’imponderabile, il tuo impavido cuore d’atleta
ha improvvisamente cessato di battere. Un incolmabile senso di vuoto mi
pervade, in un colpo solo si sono sgretolate troppe certezze: non se n’è
andato solo il medico, ma anche il compagno di squadra, l’amico e il
confidente.
Chi mi appoggerà più quel pallone perfetto adesso che tu l’hai
passato per davvero? Che ne sarà delle nostre ripartenze che spesso
risultavano implac(c)abili per qualsiasi avversario?
Queste parole doverose avrei voluto rivolgertele davanti a tutti nel
giorno del tuo commiato ma non ne ho avuto la forza, avrei mostrato quel
lato debole che nessuno conosce ma che anch’io possiedo.
“È la morte, è la morte! È la vita.
È la morte, è la morte! È la vita…
Ancora un passo, ancora un passo,
un altro fino in alto, lì dove il sole splende”.
(cit. Haka Ka Mate)
di Vanni Ranieri